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Femmine e maschi, educare al rispetto tra pregiudizi (di genere) vecchi e nuovi

Femmine e maschi, educare al rispetto tra pregiudizi (di genere) vecchi e nuovi

Quando si affronta il tema del confronto (e spesso dello scontro) tra uomini e donne, accade spesso che si confondano e mescolino piani differenti e che si utilizzino termini, che sinonimi non sono, come se lo fossero. La finalità del mio contributo è quella di chiarire e spiegare alcune terminologie e concetti che vengono utilizzati quando si parla di maschi e femmine, mettendone in luce i frequenti utilizzi ambigui nel dibattito pubblico.

Sin dalla tenera età le persone hanno idee precise sulle differenze uomo/donna, sull’aspetto dell’uno e dell’altra, su ciò che possono o non possono fare, su ciò cui possono aspirare e, in definitiva, su quali siano i ruoli che le differenti figure rivestono all’interno della società. Ciò che molto spesso invece non è chiaro è che tali differenze appartengono a due piani che andrebbero tenuti ben distinti, quello biologico e quello sociale, e che vengono, invece, confusi e, spesso, fusi assieme. E’ importante istituire delle “differenze fra le differenze”.

Le caratteristiche fisiche e biologiche tra i due sessi contribuiscono a delineare quella che viene definita identità sessuale, è la differenza sessuale propriamente detta, dove con i termini maschio e femmina si allude al sesso biologico.. Ad essa si affianca l’identità di genere, o sesso psicologico, che riguarda la sensazione intima e profonda, la convinzione permanente e precoce di essere uomo o donna.  Sappiamo bene, ed è questo il caso ad esempio dei transgender, che non sempre l’identità sessuale e di genere coincidono, ossia non sempre la percezione che un individuo ha di sé e della sua identità coincide con l’assetto biologico del suo corpo. E’ inoltre importante ricordare, viste le frequenti confusioni, che essa non ha nulla a che vedere con l’orientamento o inclinazione sessuale degli individui, che indica invece la tipologia di persone da cui ci si sente attratti sessualmente. Quando, invece, nel confronto uomo/donna si fa riferimento a differenze nel contegno, nei “costumi”, nel carattere, nel modo di presentarsi dei due sessi (la presenza o assenza del trucco, dei tacchi, degli abiti lunghi, dei capelli lunghi) e nei differenti ruoli, sport, lavori che sarebbero più o meno opportuni a seconda del sesso biologico (giocare a calcio, danzare, lavare i piatti, avere compiti di responsabilità, essere forti, essere delicati), si fa riferimento al presunto ruolo che i due sessi dovrebbero rivestire all’interno della società. Sebbene molte persone attribuiscano queste differenze ancora una volta alla “natura”, al piano biologico, esse sono differenze che rimandano ad un piano culturale, antropologico e sociale. Le varie culture modellano i corpi secondo precisi canoni estetici e intessono attorno ad essi una serie di norme comportamentali, sociali, antropologiche che portano ad una vera e propria costruzione dell’identità maschile e femminile secondo modelli fissi e precostituiti. Si parla a questo proposito di ruolo di genere. I ruoli e i caratteri imposti agli uomini e alle donne mutano di cultura in cultura e di epoca storica in epoca storica.

E’ proprio a questa costruzione culturale del femminile e del maschile che si deve la percezione della possibilità o meno di fare o non fare certe cose. Pensiamo ad esempio al diritto di voto,che è stato concesso alle donne da non molto tempo e che prima di allora non veniva considerato come un diritto fruibile dalle donne, o alla possibilità o meno di svolgere un certo tipo di lavori o al fatto che determinati compiti siano considerati come facenti parte delle naturali inclinazioni dell’uno o dell’altro sesso. Pensiamo al fatto che le donne vengono ancora pagate meno degli uomini a parità di posizione ricoperta, pensiamo alla profonda disparità tra i generi e pensiamo che tutte queste sono culturalmente indotte e spesso acriticamente accettate perché fanno parte di ciò che viene considerato comunemente “naturale” e “normale”.

Come avviene la costruzione culturale dell’identità maschile e femminile e soprattutto come avviene la sua naturalizzazione?

Sin da bambini ci viene insegnato cosa sia “da femmine” e “da maschi” (Qui potete vedere un filmato molto interessante tratto da “Ma il cielo è sempre più blu”, una videoinchiesta sugli stereotipi di genere nei bambini in età scolare condotta da Alessandra Ghimenti.). A partire dalla scelta del colore del fiocco che viene utilizzato per segnalare il lieto evento della nascita, si comincia inconsciamente a definire cosa è da femmina e cosa è da maschio. Anche il gioco e l’educazione, attraverso cui i bambini apprendono “quale sia il loro posto nel mondo”, sono spesso orientati da quelli che vengono definiti stereotipi di genere, che fanno cioè riferimento alle presunte differenti attitudini naturali dei due sessi. Giochi dinamici e di ingegno per i bambini, giochi tranquilli e legati possibilmente a riprodurre scene di economia domestica per le bambine. Se l’educazione dei bambini avviene seguendo questi modelli precostituiti e stereotipati, l’educazione avverrà con un’accurata selezione tra ciò che è considerato maschile e ciò che considerato femminile sino a che il bambino, introiettando queste differenze, le considererà come naturali e normali.

A partire dagli anni 90 del secolo scorso organizzazioni internazionali quali L’Onu si sono accorte della crescente necessità di combattere gli stereotipi di genere per combattere la disparità tra i sessi e per liberare gli individui da oppressivi modelli culturali eteroimposti. In maniera forte e decisa nel 1994 la Conferenza Internazionale su Popolazione e Sviluppo dell’Onu invita alla parità tra i sessi e auspica una decostruzione dei ruoli predefiniti maschili e femminili, che altro non sono che costrutti culturali e che, lungi dall’essere differenze naturali (ammesso che la naturalità di qualcosa la legittimi da un punto di vista morale), sono solo pregiudizi che possono e devono essere messi in discussione.

Attualmente in Italia, ma non solo, numerosi sono i progetti educativi per l’infanzia finalizzati a mettere in discussione gli stereotipi di genere e a restituire a ciascuno la libertà di costruirsi la propria identità senza che nessuno sia costretto a conformarsi ad un’identità precostituita in virtù del suo sesso biologico. Questi progetti, anziché essere accolti positivamente, in più occasioni hanno generato delle reazioni scomposte, irrazionali e assai poco comprensibili. Più persone ne hanno denunciato il presunto intento di voler confondere i bambini e di voler cancellare le differenze sessuali tra uomo e donna…quando è evidente che l’intento di questi progetti educativi non sia certo mettere in dubbio la biologia ma, piuttosto, mettere in dubbio la naturalità dell’imposizione dei ruoli. Insegnare ai futuri adulti di domani che ciascuno di noi ha gli stessi diritti e gli stessi doveri indipendentemente dal proprio sesso biologico è la chiave per combattere gli stereotipi di genere alla radice. Solo mettendo in discussione i modelli culturali che relegano uomini e donne a ruoli e comportamenti predefiniti sarà possibile liberarsi di quelle gabbie culturali che, oltre ad ostacolare la libera espressione delle persone, sono la principale causa del protrarsi di una disparità tra i sessi che non può più in alcun modo essere legittimata e tollerata.

Questa tematica è stata affrontata e discussa nell’ambito delle “Libere dissertazioni” organizzate dalla Biblioteca Comunale di Santa Croce sull’Arno, in merito alla cultura dell’uguaglianza (14/04/2016) e nel secondo appuntamento de “I Giovedì della Bioetica”, nati dalla collaborazione tra Consulta di Bioetica Onlus e Il Consiglio Pari opportunità del Comune di Vico Pisano (13/10/2016).

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