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Biotestamento: riflessioni sull’appello di Gesualdi

Biotestamento: riflessioni sull’appello di Gesualdi

Michele GesualdiE’ stata recentemente pubblicata una lettera in cui Michele Gesualdi, ex presidente della provincia di Firenze e allievo di Don Milani, rivolge un appello alle istituzioni perché venga approvata quanto prima la legge sul Biotestamento.

Nella sua toccante testimonianza vengono sottolineate le terribili condizioni in cui si trovano a vivere le persone affette, come lui, dalla Sclerosi Laterale Amiotrofica. La descrizione della sofferenza quotidiana di chi è costretto dalla malattia a perdere progressivamente la propria capacità di muoversi, diventando ostaggio del proprio corpo, rappresenta l’occasione per rivendicare il rispetto della volontà e della dignità sua e degli altri malati nelle sue stesse condizioni. Questa rivendicazione passa per l’esplicito rifiuto della prosecuzione del suo doloroso calvario attraverso procedure come la tracheotomia, la ventilazione meccanica e la nutrizione artificiale, paragonati a “un’inutile tortura del condannato a morte prima dell’esecuzione”. Accorata è la sua richiesta  che queste volontà possano valere anche in caso il malato si trovi in una temporanea condizione di perdita di coscienza –come nell’eventualità di una crisi respiratoria particolarmente violenta- sollevando i familiari dall’angoscia di veder calpestate le direttive del proprio congiunto nell’applicazione di procedure di emergenza da parte del personale del 118.

Il doloroso racconto di Gesualdi, assieme alla sua manifesta professione di fede, sono stati accolti da più parti come una dimostrazione della comprovata necessità di una legge sul biotestamento nonchè della sua legittimità morale, proprio in virtù dell’avallo dell’allievo di Don Milani.
Senza nulla togliere al valore e alle legittime rivendicazioni espresse nella lettera, è importante esplicitare le molteplici questioni bioetiche sollevate dalle sue dichiarazioni senza che la partecipazione empatica si trasformi in uno slancio emozionale che confonde e mescola i diversi piani della riflessione morale in gioco.

Cominciamo con lo specificare che la rilevanza morale delle sue affermazioni non è certo legata alla sua professione di fede, quanto piuttosto alla sua condizione di malato che rivendica il diritto all’autodeterminazione terapeutica. La precisazione, per quanto possa sembrare superflua, diventa necessaria in contesti in cui agli uomini di fede viene assegnato “d’ufficio” il primato morale per ciò che affermano sulle questioni bioetiche.

Le tematiche a cui la lettera accenna sono principalmente tre:

  • La questione del consenso/dissenso informato sui trattamenti sanitari, ivi inclusa la ventilazione meccanica e la nutrizione artificiale (di cui Gesualdi parla esplicitamente).
  • La possibilità che tale consenso/dissenso possa essere esteso anche a quando la persona non sarà più cosciente.
  • La tragica sofferenza di quanti sono costretti all’immobilità da una malattia degenerativa, pur mantenendo la lucidità.

La chiusura dell’appello sembra lasciar intendere che tutte e tre le questioni possano trovare una soluzione nell’approvazione della legge sulle dat:
“Per l’insieme di questi motivi sono a pregarvi di calarvi in simili drammi e contribuire ad alleviarli con l’accelerazione della legge sul testamento biologico.
Non si tratta di favorire la eutanasia, ma solo di lasciare libero, l’interessato, lucido cosciente

 e consapevole, di essere giunto alla tappa finale, di scegliere di non essere inutilmente torturato e di levare dall’angoscia i suoi familiari, che non desiderano sia tradita la volontà del loro caro. La  rapida approvazione delle legge sarebbe un atto di rispetto e di civiltà che non impone ma aiuta e non lascia sole tante persone e le loro famiglie.” 

In realtà solo la seconda delle tre questioni riguarda il testamento biologico. Le altre due, invece, pur riguardando il tema dell’autodeterminazione del paziente, non hanno a che fare con la suddetta legge. Questa, infatti, verrebbe applicata solo nell’evenienza di una perdita di coscienza (temporanea o permanente) per garantire qualcosa che al paziente lucido e cosciente è già garantito: il rifiuto delle cure. Gli articoli 13 e 32 della Costituzione, infatti, sanciscono l’inviolabilità della libertà personale e il diritto di non essere sottoposti a trattamenti sanitari contro la propria volontà. Il Caso Welby e il Caso Englaro, e le relative sentenze, sono state determinanti nel ribadire il diritto inviolabile all’autodeterminazione terapeutica. Al paziente è garantita la possibilità di rifiutare trattamenti ritenuti dallo stesso sproporzionati, inaccettabili o degradanti anche nel caso in cui questa volontà possa decretarne la morte.

Quanto all’ultima questione, ossia l’incubo di chi, lucido e cosciente, vive prigioniero del proprio corpo, l’esplicita contrarietà di Gesualdi all’eutanasia non è affatto utile a “perorare la causa” di quanti vivono questa tragica esperienza. Al di là del suo personale rifiuto, molte sono le persone che nelle sue stesse condizioni chiedono di poter ricorrere all’eutanasia o al suicidio assistito per sottrarsi ad un’esistenza che non ritengono più degna di essere vissuta. Basti pensare a Fabiano Antoniani, meglio noto come DJ Fabo, che ha pubblicamente rivendicato questo diritto e che per vederlo rispettato è dovuto andare, come molti altri, in una clinica Svizzera.

In un Paese che obbliga i propri cittadini al “turismo dei diritti” per vedere rispettate le proprie volontà, non è sufficiente chiedere l’approvazione della legge sul testamento biologico per garantire che la dignità di ciascun malato venga preservata da quelle inutili torture che Gesualdi dice di voler allontanare da sé e da quanti vivono nelle sue condizioni.

 

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