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Medici Obiettori: i concorsi ad hoc non sono la soluzione.

Medici Obiettori: i concorsi ad hoc non sono la soluzione.

La notizia che la Regione Lazio per poter effettuare interruzioni volontarie di gravidanza (IVG) sia dovuta ricorrere a concorsi specifici per non obiettori ha suscitato un ampio dibattito (ne abbiamo già parlato QUI). L’iniziativa, come prevedibile, ha diviso i pro-life, che hanno visto in questo concorso una negazione illiberale del diritto all’obiezione di coscienza, dai pro-choice che hanno salutato l’iniziativa come un importante strumento a garanzia della pratica della IVG.

In questa chiassosa polemica all’Italiana, a colpire non è tanto la posizione della CEI e di quanti vedono nell’aborto una pratica immorale da combattere e ostacolare, ma la posizione di chi, pur essendo a favore dell’IVG e facendo riferimento a una generica tradizione liberale, equipara, da una parte, il diritto alla salute e all’autodeterminazione delle donne e dall’altra il cosiddetto diritto all’obiezione di coscienza dei medici. Secondo questa visione, la presunta irrinunciabilità di questi “diritti” renderebbe necessario trovare un sistema di bilanciamento per garantire sia i primi che il secondo. In questo senso i concorsi ad hoc per soli non obiettori sarebbero la soluzione ideale a questa necessità.

E’ di questo avviso Michela Marzano che dalle pagine de La Repubblica afferma:

“Il problema è quello del bilanciamento, e quindi dell’equilibrio necessario, tra il diritto di alcune persone all’obiezione di coscienza e il diritto di altre ad accedere all’IVG nelle strutture sanitarie pubbliche. L’apparente conflitto tra i due diritti viene infatti meno nel momento in cui, come al San Camillo di Roma, i medici appena assunti abbiano già accettato, in piena coscienza, di praticare aborti. Perché non immaginare allora di regolamentare a livello nazionale una riserva concorsuale per i medici non obiettori invece di cancellare la possibilità stessa dell’obiezione di coscienza che, come il diritto all’autodeterminazione e alla salute, fa parte delle libertà fondamentali di ognuno di noi?”

Simili posizioni sono assai discutibili poiché non fanno altro che giustificare e legittimare il comportamento irresponsabile di tutti quei medici che hanno contribuito in questi anni a ostacolare la libera scelta di donne che avrebbero dovuto, invece, assistere.

Cominciamo col dire che simili considerazioni partono da un’ingiustificata equiparazione di diritti che hanno natura e peso differenti.

Il diritto all’autodeterminazione delle donne e il diritto alla salute, oltre che essere due diritti costituzionalmente garantiti, sono due DIRITTI MORALI, cioè due pretese giustificate e argomentate razionalmente e non solo attraverso un astratto appello a una altrettanto vaga e indefinita coscienza. Il cosiddetto “diritto all’obiezione di coscienza” in merito alla legge 194 è una NORMA POSITIVA che consente ai medici e al personale sanitario di rifiutare la pratica di IVG in forza dell’articolo 9 della 194. Il fatto che questa possibilità sia garantita per legge non implica automaticamente che essa sia legittima anche dal punto di vista morale. Morale e Norme Positive non sono affatto coincidenti e basta pensare alle migliaia di leggi inique che ci sono nel mondo per comprenderlo.

Il “diritto” (positivo) all’obiezione di coscienza è anche un diritto morale?

Chi risponde affermativamente è solito sostenere che l’art. 9 della legge 194 altro non sia che espressione del diritto morale alla libertà di coscienza, un diritto fondamentale per le società che vogliano definirsi liberali. Ma aspettarsi (pretendere?) che una persona adempia i doveri (TUTTI I DOVERI) di una professione LIBERAMENTE SCELTA, significa davvero mettere in discussione la sua libertà di coscienza?

Nessuno è costretto, contro la sua volontà, a intraprendere una carriera professionale che non si accordi alla propria visione morale. Non esiste, dunque, un reale contrasto tra il diritto alla salute delle donne e il cosiddetto diritto di non praticare aborti (o, almeno, non dovrebbe esistere). Mettere in discussione la legittimità dell’articolo 9, più che configurarsi come una lesione indebita della libertà di coscienza, significa sostenere che la manifesta lesione dei diritti delle donne di cui è causa non può avere alcuna legittimazione morale.

Nessuno in Italia è costretto a specializzarsi in ginecologia: solo in quest’ultimo caso avrebbe senso parlare di violazione della libertà di coscienza.

Uno dei motivi che porta a confondere la prerogativa sancita dall’articolo 9 con il diritto morale alla libertà di coscienza è senza dubbio legato all’utilizzo fuorviante dell’espressione “OBIEZIONE DI COSCIENZA”. Questa espressione, infatti, indica un atto di ribellione a una legge dello Stato che costringe a compiere atti contrari alle proprie convinzioni, motivo per cui si rivendica la libertà di coscienza di agire in contrasto con la legge stessa. Non a caso si parla a questo proposito di obiezione contra legem, l’unica a cui propriamente si applica l’espressione “obiezione di coscienza”.

Storicamente in Italia con il termine “obiezione di coscienza” si fa riferimento al rifiuto di molti giovani al servizio militare di leva. L’imposizione dello Stato, esercitata attraverso la coscrizione obbligatoria, veniva rifiutata sulla base di precisi argomenti morali come il ripudio della guerra e della violenza a costo del carcere duro. L’obiettore col suo gesto si poneva al di fuori della legge stessa (contra legem, appunto), rifiutando quanto impostogli in forza di una motivazione di natura morale. L’espressione continuò ad essere utilizzata, ormai impropriamente, anche quando questa possibilità fu normata e regolamentata attraverso l’istituzione del Servizio Civile, diventando, a quel punto, una obiezione secundum legem, da assimilare a una facoltà o prerogativa, piuttosto che a un vero e proprio diritto morale. Altrettanto impropriamente l’espressione è stata mutuata in altri campi, inclusa la 194, in cui l’obiezione di coscienza non è una ribellione a quanto previsto e imposto dalla legge, ma l’applicazione (attraverso appunto l’esercizio di una prerogativa accolta nell’ordinamento) di una delle opzioni da essa normate e consentite.

Nel caso dell’obiezione di coscienza vera e propria i giovani, rivendicando il diritto morale alla libertà di coscienza, si rifiutavano di rispettare un’imposizione dello Stato che non lasciava scampo, pagando in prima persona le conseguenze della propria ribellione.

Nel caso dei medici obiettori ci troviamo, invece, di fronte a dei professionisti che, grazie all’articolo 9 della 194, possono sottrarsi ad uno dei compiti che il Servizio Sanitario Nazionale (ormai da 39 anni) prevede per una professione LIBERAMENTE SCELTA, a scapito delle donne che, a fronte di un numero sempre più elevato di obiettori, non riescono ad essere adeguatamente assistite in un percorso che spesso non prevede alternative.

Questa possibilità, garantita loro da una legge ed esercitata impunemente a danno delle pazienti, non può essere considerata un legittimo esercizio della propria libertà morale di agire secondo coscienza.

Se è vero, infatti, che per quel che riguarda i comportamenti che coinvolgono solo noi stessi, in un Paese liberale, la nostra libertà non dovrebbe avere alcun limite, nei comportamenti che coinvolgono anche altri, invece, una scelta che voglia definirsi morale è soggetta al vincolo di non procurare innanzitutto danno a terzi. È proprio il danno a discriminare tra condotte lecite e illecite: un confine netto tra il legittimo esercizio della propria libertà e l’arbitraria imposizione dei propri valori, che oltretutto, in casi come questo, compromette indebitamente la possibilità altrui di vivere secondo la propria coscienza.

Scegliere una professione e decidere di astenersi da uno dei compiti che prevede, scomodando una coscienza che si sarebbe potuto esercitare a monte della propria scelta, è soltanto un privilegio garantito da un articolo di legge che andrebbe soppresso, e non un diritto morale. Un lusso concesso a scapito della salute e del diritto all’autodeterminazione di migliaia di donne e a scapito anche della vita professionale di quanti, decidendo di non rinnegare un compito che è parte della propria professione, si trovano a dover compensare le mancanze altrui rischiando di ridurre la propria vita lavorativa alla sola pratica di IVG.

Sebbene l’iniziativa della Regione Lazio, sul breve periodo, sia sicuramente un buon metodo per sopperire all’elevata percentuale di obiettori, non si può pensare che questa sia una soluzione accettabile in via definitiva. L’istituzione di concorsi ad hoc per medici non obiettori rischia, infatti, di diventare una legittimazione e una garanzia per la sopravvivenza del privilegio di molti di sottrarsi ai propri doveri professionali, a scapito di quei pochi che saranno disposti a fare il proprio lavoro nella sua completezza e a garantire la legittima assistenza alle donne.

Prospettare questa procedura come la soluzione ideale per garantire il “diritto fondamentale all’obiezione di coscienza” significa non solo non aver compreso la reale natura di questo presunto diritto, ma anche arrivare al paradosso logico di sostenere che questo diritto sia così irrinunciabile da legittimarne la tutela attraverso il ricorso a persone a cui si impone di rinunciare a questo stesso “diritto fondamentale” per contratto (è il caso dei concorsi ad hoc). Ma se si accetta l’opzione di chiedere per contratto la disponibilità a svolgere IVG, perché allora non estenderla a tutti quelli che intraprendono la carriera del medico ginecologo, sopprimendo l’articolo 9? Solo con la soppressione del privilegio da esso garantito avremmo la soluzione definitiva al preoccupante problema delle elevate percentuali di medici obiettori.

Per usare la stessa struttura del discorso di Marzano “L’apparente conflitto tra i due diritti viene meno nel momento in cui, con l’abolizione dell’articolo 9, i medici appena assunti abbiano già accettato, in piena coscienza, di praticare aborti”.

Per ulteriori approfondimenti sulla questione, leggi: “L’insostenibile lusso dell’obiezione di coscienza”

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