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Unioni Civili. Quando l’Obiezione non ha a che fare con la coscienza

Unioni Civili. Quando l’Obiezione non ha a che fare con la coscienza

La Sindaca di Cascina (Pisa) Susanna Ceccardi (Lega Nord) qualche giorno fa ha ribadito con i suoi comportamenti la totale contrarietà alla legge n. 76 del 20 Maggio 2016, meglio conosciuta come Legge Cirinnà.

Entrata in vigore il 5 giugno 2016, la legge istituisce l’unione civile tra due persone dello stesso sesso da costituirsi mediante dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile alla presenza di due testimoni.

Già lo scorso agosto la Sindaca aveva rivendicato il diritto di praticare obiezione di coscienza, sottraendosi a quanto è previsto dalla legge. In una lunga esternazione rilasciata tramite social network affermava, tra le altre cose, che: “il registrucolo degli amanti omosessuali è un’invasione di campo [da parte dello stato n.d.r] che ha ragioni di progettualità ideologica, in vista del mutamento del concetto di famiglia e dell’aberrante adozione al di fuori dal contesto della famiglia naturale, contro cui anche gli omosessuali dovrebbero indignarsi”.

In questi giorni tramite una delibera ha, di fatto, confermato la sua volontà di ostacolare chiunque voglia esercitare i diritti garantiti dalla suddetta legge, rendendo indisponibile la Sala Consiliare del Comune alle Unioni Civili. Con la delibera 163, infatti, è stato modificato il regolamento del Comune stabilendo che nella Sala Consiliare possono essere celebrati esclusivamente “matrimoni civili” e solo se a farlo sono “Consiglieri Comunali e Assessori in carica muniti di specifica delega rilasciata, per i singoli matrimoni, dal Sindaco”. Deleghe che, ovviamente, la Sindaca non ha intenzione di concedere a chi voglia celebrare le unioni civili: “Io non do deleghe. E’ nelle competenze di sindaco dare o non dare la delega, al di là dell’obiezione.”

Due donne che avevano prenotato (ottenuto e pagato) prima della delibera la Sala Consiliare del Comune di Cascina per il 21 Gennaio 2017, si sono viste negare la disponibilità della stessa poiché per quel giorno la sala sarà occupata da una non meglio definita iniziativa di rilevanza pubblica da parte dell’Assessore alla Cultura Luca Nannipieri. Nel frattempo il regolamento è entrato pienamente in vigore, quindi per le due donne è ormai di fatto impossibile celebrare l’unione nella Sala Consiliare. La Sindaca fa sapere che “A Cascina c’è l’ufficiale di stato civile, il problema quale sarebbe? Basta che chiamino l’ufficio di stato civile e fissino per il 21 gennaio o per il giorno che vogliono sentendo la disponibilità dell’ufficio” ma che la Sala del Comune non sarà disponibile per queste unioni.

Il gesto della Sindaca (e della sua giunta) ha, di fatto, come finalità quella di disconoscere la pari dignità dei matrimoni e delle unioni civili, impedendo che queste ultime vengano celebrate nello stesso luogo dei primi attraverso una delibera ad hoc e l’arbitraria negazione delle deleghe. Indicare, inoltre, la possibilità per le coppie di firmare per l’unione nell’ufficio di stato civile, rafforza ulteriormente questa presa di posizione perché sembrerebbe voler ridurre l’unione tra due persone ad un mero atto burocratico, da effettuarsi in un ufficio qualsiasi, lontano dalle sale “prestigiose” concesse invece a chi si voglia unire in matrimonio.

Un simile comportamento, oltre a osteggiare un diritto positivo garantito dallo Stato di cui la Sindaca è, di fatto, rappresentante, risulta difficilmente giustificabile anche in quell’orizzonte in cui la stessa, invocando l’obiezione di coscienza contro una legge definita ingiusta, sembra voler argomentare e giustificare le sue scelte: l’orizzonte morale.

Sebbene, infatti, coloro che hanno criticato la presa di posizione della Sindaca, anche attraverso un esposto, abbiano affermato l’illegittimità della sua posizione in quanto l’obiezione di coscienza non è prevista dalla norma, non è certo riducendo la questione a ciò che la legge prevede o meno che si può rispondere adeguatamente ad una rivendicazione di natura eminentemente morale.

L’obiezione di coscienza altro non è che un atto di ribellione morale ad una legge che si sente contraria ai propri valori, motivo per cui si rivendica la libertà di coscienza di agire in maniera contraria a quella imposta dallo Stato.

In Italia storicamente l’obiezione di coscienza “vera e propria” è stata quella dei giovani che, a costo del carcere duro, si sono rifiutati di prestare il servizio di leva obbligatorio. L’imposizione dello Stato, esercitata attraverso la coscrizione obbligatoria, veniva rifiutata sulla base del ripudio della guerra e della violenza. L’obiettore col suo gesto si poneva al di fuori della legge stessa, rifiutandola in forza di una motivazione di natura morale.

Il lento processo legislativo che ha portato alla regolamentazione dell’obiezione di coscienza (legge n 772 del 15 dicembre 1972) e al suo riconoscimento come diritto positivo (legge n. 230 8 luglio 1998) con l’istituzione del Servizio Civile ha, di fatto, posto fine all’obiezione di coscienza propriamente detta. Con la possibilità di scegliere tra due opzioni entrambe garantite dalla legge (il Servizio Militare e il Servizio Civile), il rifiuto (l’obiezione) della legge è stato infatti sostituito dal libero esercizio di un diritto positivo.

Tuttavia il nome “obiezione di coscienza” è rimasto e il suo utilizzo si è esteso, impropriamente, ad indicare altri comportamenti in cui la coscienza veniva indicata come motivazione di scelte individuali previste e normate da specifiche leggi. È il caso, ad esempio, dell’articolo 9 della legge 194 del 1978, che sancisce la possibilità da parte dei medici di non praticare interruzioni volontarie di gravidanza qualora siano atti contrari alla loro coscienza. Il termine obiezione di coscienza è anche in questo caso improprio nella misura in cui la scelta “di coscienza”, compiuta dai medici, è una scelta garantita e normata dalla legge, che dunque non diviene oggetto di “obiezione” ma si limita ad essere applicata in una delle sue possibili declinazioni.

Soffermarsi sull’uso improprio del termine “obiezione di coscienza” non è un esercizio fine a se stesso ma ha la precisa finalità di tenere distinti la MORALE e il DIRITTO.

Siamo così abituati a considerare l’obiezione di coscienza una clausola prevista all’interno di una legge, e in quel caso a considerarla (in maniera del tutto indebita) automaticamente legittima anche sul piano morale, che molto spesso perdiamo di vista quelle che dovrebbero essere le sue peculiarità e la natura delle sue argomentazioni.

Confondere il piano della morale con quello del diritto, o meglio ridurre le questioni morali a ciò che un testo di legge prevede o meno, non consente di comprendere pienamente le implicazioni morali delle posizioni assunte, né quanto queste posizioni siano legittime o meno dal punto di vista morale.

Il fatto che un comportamento sia normato o meno dal diritto positivo, infatti, nulla ci dice sulla sua liceità morale: non tutto ciò che è legale è morale e, viceversa, non tutto ciò che è morale è legale. Non tenere conto di questa distinzione di ambiti, offre il fianco alle risposte dai paragoni arditi della Sindaca “Anche Rosa Parks, la donna che in Alabama contestò la legge sull’apartheid, avrebbe dovuto obbedire alla legge. Invece l’ha contestata. C’è un profilo diverso da quello della semplice obbedienza — dice Ceccardi — ed è quello della sfera della coscienza individuale.”.

Questa replica sposta inequivocabilmente la questione sul piano morale, ed è proprio su questo piano, e non su quello del diritto, che una risposta adeguata deve trovare le sue argomentazioni.

Cominciamo col dire che la tradizione liberale, nel ribadire la differenza tra diritto e morale, rivendica per quest’ultima uno spazio autonomo in cui le decisioni siano demandate al singolo individuo e la condotta sia regolata dai soli principi morali -e sottratta dunque all’intervento della legge.

Ma sino a dove può spingersi la libertà morale del singolo di agire secondo la propria coscienza?

 Qual è il confine tra un legittimo esercizio della propria libertà morale e l’arbitraria imposizione dei propri valori morali?

Per quel che riguarda i comportamenti che coinvolgono solo noi stessi, in un Paese liberale la nostra libertà non dovrebbe avere alcun limite. Nei comportamenti che coinvolgono anche altri, invece, una scelta che voglia definirsi morale è soggetta a vincoli più o meno pesanti nella misura in cui la nostra azione può provocare un danno a terzi.

È proprio il possibile danno a terzi ad essere la discriminante tra un comportamento moralmente giustificabile o meno, e ad essere dunque la discriminante tra azioni che possono essere impedite o meno.

L’obiettore di coscienza “originario” rifiutava un’imposizione dello Stato, subendo personalmente le conseguenze di tale scelta attraverso il carcere, in forza di una posizione morale che nasceva dal rifiuto di voler danneggiare terzi attraverso l’uso delle armi. La scelta dell’obiettore al servizio di leva, dunque, non solo nasceva dal rifiuto stesso del danno a terzi, ma si configurava come una scelta esclusivamente individuale poiché l’unica persona a pagare le conseguenze dirette della propria condotta era l’obiettore stesso.

Nel caso della presunta obiezione di coscienza contro le Unioni Civili, la volontà di impedire a due persone di formalizzare un legame sentimentale, non solo non previene alcun danno a terzi, ma la sua messa in atto si configura a sua volta come una vera e propria lesione dei diritti morali altrui e della libertà di coscienza altrui.

L’esercizio della coscienza individuale non può estendersi sino a compromettere indebitamente la possibilità altrui di vivere secondo la propria coscienza.

Impedire le Unioni Civili non è giustificabile sotto nessun punto di vista.

Non lo è dal punto di vista legale, perché agisce in aperta contraddizione alla legge, ma non lo è neppure dal punto di vista morale.

L’imposizione dei propri valori morali a persone che non li condividono, privandole contemporaneamente della possibilità di vivere secondo i propri, non trova alcuna legittimazione, soprattutto quando si sta parlando di scelte personali e individuali come quelle emotive. Rivendicare in simili contesti la libertà di coscienza significa ignorare cosa la morale sia, e quali siano i limiti all’esercizio della propria libertà ad essa connessi.

Leggi anche: “Obiezione di Coscienza, un falso diritto”

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